Il ballo popolare della pizzica è ormai un fenomeno mondiale: ma cosa c’è realmente dietro la storia delle donne morse dalla taranta?

Il Salento, penisola affacciata sui mari Adriatico e Ionio, è sempre stato un crocevia di popoli, culture e tradizioni. Nel corso dei secoli, questa terra è stata attraversata da Messapi, Greci, Romani, Bizantini, Normanni, Aragonesi, che hanno lasciato un’impronta indelebile sulla sua storia e sul suo carattere unico.
Tuttavia, se un tempo era considerata meta di passaggio, oggi non si può più approdare in Salento per caso: andarci è una scelta, che porta con sé la promessa di vivere un’esperienza autentica e indimenticabile per chi cerca genuinità, bellezza e tradizione.

Terra di dove finisce la terra”, canta Vinicio Capossela parafrasando l’espressione “Finibus terrae” attribuita dagli antichi romani al Salento proprio per indicare il confine estremo dei propri territori. Il brano in questione è Il Ballo Di San Vito, in cui l’autore descrive la festa di San Rocco a Torre Paduli – paese a 15 minuti dalla dimora storica Don Totu – dove ogni anno, durante la notte tra 15 e 16 agosto, persone da ogni parte del Salento accorrono per ballare al ritmo della pizzica, danza simile ai movimenti incontrollati provocati dalla malattia Corea di Sydenham, conosciuta appunto come “ballo di San Vito”.

La pizzica, infatti, non è altro che l’espressione coreutica del dolore fisico e delle convulsioni che fino a pochi decenni fa si credeva fossero provocate dal morso velenoso della taranta. Questo ballo popolare oggi è celebre a livello internazionale per il festival itinerante che ogni estate attraversa le piazze del Salento e si conclude nel grande Concertone di Melpignano, un evento capace di attrarre ogni anno centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo. Ma c’è stato un tempo – non troppi decenni fa – in cui la pizzica era ancora quel rito ancestrale ereditato dai culti dionisiaci dell’antica Grecia, utilizzato dalla comunità contadina come terapia musicale per scacciare gli effetti del morso della tarantola.

Nei campi di tabacco, così come nelle vigne e negli oliveti, non era raro imbattersi in ragni velenosi, dopo il cui morso si cadeva in uno stato di trance dal quale ci si poteva risvegliare solo tramite la musica che suonatori specializzati eseguivano anche per diversi giorni di fila. Un fenomeno che negli anni ’60 è stato studiato e descritto dal più grande antropologo italiano del ‘900, Ernesto De Martino, nel suo nel celebre testo La Terra del Rimorso. Grazie alle sue ricerche è emerso quale fosse il vero veleno in grado di scatenare, nella maggior parte dei casi alle donne, questi stati di choc fisico e mentale.

Il tarantismo, infatti, non era nient’altro che l’espressione del disagio psicologico e sociale che molte di esse vivevano fin’oltre la metà del secolo scorso e parzialmente raccontato di recente nella pluripremiata pellicola C’è Ancora Domani, esordio registico di Paola Cortellesi. Il morso della taranta rappresenta metaforicamente la goccia che fa traboccare il vaso, un evento oltre la quale la vittima “sceglieva” di estraniarsi dal mondo ma al contempo di attirarne l’attenzione manifestando fisicamente il proprio malessere, scatenato e sfogato attraverso la danza rituale.

Da leggenda apotropaica a manifestazione socio-antropologica, fino a divenire un fenomeno culturale e turistico. La danza della pizzica ci ricorda le origini e i mali recenti di un Sud oggi finalmente capace di risorgere e mostrarsi a testa alta anche nelle sue antiche debolezze a chi, come ai viaggiatori che scelgono come meta per le proprie vacanze il Salento, ama andare oltre il superficiale e immergersi nel profondo delle viscere culturali di un territorio e del suo popolo.